Good Life

10.04.2017

Uno studio tutto italiano fa luce sui meccanismi all’origine della malattia che divora i ricordi. E apre una nuova via alla ricerca di una cura per l’Alzheimer. Secondo i ricercatori – coordinati da Marcello D’Amelio, professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma – l’origine del morbo non è nell’area del cervello associata alla memoria: all’origine della malattia ci sarebbe la morte dei neuroni nell’area collegata anche ai disturbi d’umore.

A mettere a punto la scoperta, che promette di rivoluzionare l’approccio alla “malattia del secolo”, è uno studio italiano pubblicato su Nature Communications, i cui risultati dimostrano anche che la depressione sarebbe una “spia” dell’Alzheimer, e non viceversa. Finora si riteneva infatti che la malattia fosse dovuta a una degenerazione delle cellule dell’ippocampo, area cerebrale da cui dipendono i meccanismi del ricordo.

La nuova ricerca, condotta in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma, punta invece l’attenzione sull’area tegmentale ventrale, dove viene prodotta la dopamina, neurotrasmettitore collegato anche ai disturbi d’umore. Come in un effetto domino, la morte di neuroni deputati alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il “tilt” che genera la perdita dei ricordi. L’ipotesi è stata confermata in laboratorio, somministrando su modelli animali due diverse terapie mirate a ripristinare i livelli di dopamina. Si è così osservato che, in questo modo, si recuperava il ricordo, ma anche la motivazione.

Questi risultati “confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell’Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria i pazienti riferiscono un calo nell’interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione”, afferma Marcello D’Amelio. Insomma, i cambiamenti nel tono dell’umore non sarebbero come si credeva fino ad oggi una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer, ma potrebbero rappresentare piuttosto una sorta di ‘campanello d’allarme’ dietro il quale si nasconde l’inizio della patologia.

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 romatoday